II Conferenza
virtuale


   


Il libro elettronico 
e l'editoria digitale umanistica in Italia 


   

(30/11/2003 - 29/02 2004


    Italianistica Online > eBook Italia Forum 2003 > Relazioni > Maurizio Lana

   


ideata, promossa e coordinata da Luigi M. Reale

in collaborazione con
l'Area Convegni di
365 Giorni in Fiera

(Fiera Internazionale del Libro di Torino)
direttore editoriale
Luciano Simonelli

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Nuovo conteggio
dal 16 ottobre 2001

Maurizio Lana
Alle origini dell'ebook: il progetto Xanadu
Aspetti della pubblicazione elettronica secondo Ted Nelson

1. Premessa | 2. Ipertesto e docuverso Xanadu | 3. Xanadu in dettaglio | 4. L'ipertesto per il lavoro individuale



1. Premessa

Il termine ipertesto è noto a tutti. Un po’ meno noto è che fu Ted Nelson ad inventarlo ed usarlo per primo nel 1965 [1]. Lo stesso Nelson concepì anche l’idea di Xanadu, un sistema ipertestuale globale di lettura e pubblicazione di testi letterari. Ancora meno noto è che Ted Nelson si ricollegava direttamente ad alcuni concetti esposti da Vannevar Bush nel suo saggio del 1945, As we may think, in cui presentava una macchina mai realizzata, il memex, destinata alla gestione di documenti su microfilm e alla loro connessione su base associativa.

Il tema del libro elettronico, pur non essendo identificabile con nessun aspetto dell’opera e del pensiero di Nelson, ha radici che risalgono fino a Nelson. Infatti gli ebook sono ipertestuali stanno in librerie online da cui si scaricano per leggerli, pongono problemi di pagamento di diritti, rinnovano l’interesse per problemi legati alla proprietà intellettuale delle opere dell’ingegno, e alla sua difesa: tutti temi che in varia forma e modo sono presenti negli scritti di Nelson.

Di qui la convinzione che la conoscenza dell’opera di Nelson sia utile al dibattito sul libro elettronico.

Nella pagina di apertura del sito <www.xanadu.com> si legge:

PROJECT XANADU MISSION STATEMENT:
DEEP INTERCONNECTION, INTERCOMPARISON AND RE-USE 


Since 1960, we have fought for a world of deep electronic documents-- with side-by-side intercomparison and frictionless re-use of copyrighted material.
We have an exact and simple structure. The Xanadu model handles automatic version management and rights management through deep connection.
Today’s popular software simulates paper. The World Wide Web (another imitation of paper) trivializes our original hypertext model with one-way ever-breaking links and no management of version or contents.

WE FIGHT ON

Il testo della home page di Nelson è ricco di implicazioni. 

Nelson concepisce l’idea dell’ipertesto pervasivo e globale Xanadu quando il web non esiste ancora; ma non riesce ad attuarla ed il web inventato da Tim Berners-Lee di fatto ne costituisce una delle possibili realizzazioni. Di fronte all’affermazione e diffusione sempre più capillare del web, Nelson fa resistenza e proclama che il web non ha nulla di ciò che Xanadu avrebbe portato (o potrebbe portare).

We fight on dice molto sulla passione combattiva e vitale che ha animato e anima tuttora Nelson, passione per un sistema che poteva dare al mondo intero per la comunicazione, il lavoro intellettuale, la remunerazione del lavoro svolto, qualcosa di migliore (e in misura notevole) rispetto a ciò che esiste. Ma in queste righe si legge chiaramente anche il dispiacere che deriva dal vedere che il web di Berners Lee[2], e non Xanadu, costituisce un sistema globale di interscambio dell’infor­ma­zio­ne, e l’amarezza di non poter vedere realizzato ciò che Xanadu prometteva. Coerentemente con il we fight on, con lo spirito combattivo che non si arrende mai, Nelson ancor oggi parla di Xanadu come di un progetto che non si è ancora realizzato (e si realizzerà in futuro); il resto del mondo in generale parla di Xanadu come di un progetto che non si è realizzato (e non si realizzerà). Nelle pagine che seguono si tratterà di Xanadu da un punto di vista più vicino a quello di Nelson (senza peraltro venir meno al dovere intellettuale della valutazione critica di ciò che si espone): perché Xanadu ha una sua autentica grandezza concettuale, e anche solo come concetto è pienamente definito e compiuto.

Theodor Holm Nelson, nato nel 1937, nel 1960 si iscrisse a Harvard per studiare sociologia e ottenne il master in Social Relations nel 1963. Proprio a Harvard, seguendo nel 1960 un corso di computer for the humanities, concepì l’idea di scrivere un programma in linguaggio macchina, per l’unico computer disponibile allora a Harvard, un IBM 7090, che gli permettesse di archiviare nel computer le sue note e i suoi manoscritti [3], modificarli, stamparli.


Computer IBM 7090 
<http://www.nersc.gov/~deboni/Computer.history/ibm.7090.jpg

Dopo aver scritto circa 40.000 righe di codice si rese conto che l’impresa era superiore alle sue forze o, riprendendo parole sue, che aveva scambiato la vicinanza dell’immagine per la nitidezza della visione. Per cogliere appieno il senso del tentativo di Nelson occorre ricordare da un lato che le funzionalità di scrittura che egli voleva ottenere nel 1960 iniziarono ad essere disponibili al pubblico solo dagli anni ’80, e dall’altro che egli non voleva una macchina da scrivere potenziata ma un sistema che gli permettesse di “cambiare idea” e indirizzare il pensiero su nuovi percorsi: voleva non solo la libertà di inserire e cancellare parole e paragrafi, ma anche che il sistema conservasse traccia di tutte le sue decisioni (historical backtrack [4]) così da mostrare le varie versioni alternative del testo.

Nel 1965 tenne una comunicazione (Complex information processing: a file structure for the complex, the changing and the indeterminate) al convegno annuale dell’ACM (Association for Computing Machinery) [5], nel corso della quale utilizzò per la prima volta il termine ipertesto e iniziò a concepire il sogno di Xanadu, un sistema software che egli stesso descrive come “magico luogo di memoria letteraria” [6] frutto dell’elaborazione e ampliamento del concetto di “sistema che tiene traccia delle molteplici versioni di un documento (e dei suoi legami con altri documenti simili)”, al centro dei suoi interessi a partire dal 1960. Da quel momento la vicenda personale di Nelson e quella di Xanadu si intrecciano strettamente.


Copertina di ComputerLib, edizione autoprodotta da T. Nelson
<http://www.digibarn.com/collections/books/computer-lib/cl-cover.jpg>

Nel 1974, nel suo libro ComputerLib/Dream Machines, Nelson annunciava che Xanadu sarebbe stato pronto per il 1976. In Literary Machines, pubblicato nel 1987, la data di rilascio veniva posticipata al 1988. Nel gennaio del 1988, in un articolo pubblicato sulla rivista Byte, Nelson prospettava come data per il completamento dello sviluppo di Xanadu il 1999. In effetti nel 1988 lo sviluppo di Xanadu ricevette un forte impulso a causa dell’acquisto del marchio Xanadu da parte di Autodesk, grande azienda sviluppatrice di software; ma nel 1992 Autodesk si ritirò dall’impresa restituendo a Nelson il marchio.

Da allora vi furono sviluppi e presentazioni pubbliche di singoli componenti del sistema, ma non molto di più: Nelson entrò in conflitto con buona parte del mondo accademico, industriale, economico, statunitense e questi mondi in qualche modo si disamorarono di un progetto affascinante, che prometteva tantissimo, ma che non produceva nulla di usabile. Wired pubblicò nel 1995 un articolo [7] molto ampio e severo, a tratti anche cattivo, su Nelson e su Xanadu, sul fallimento di Xanadu che sarebbe anche il fallimento di Nelson, articolo che segnò una sorta di spartiacque. Si potrebbe quasi leggerlo come la testimonianza di un innamoramento che si trasforma in odio feroce perché ci sono state promesse (Xanadu) non rispettate.

Il centro di gravità dell’attività di Nelson già da qualche anno si stava spostando fuori degli Stati Uniti: Gran Bretagna (visiting professor all’Università di Southampton), Australia (creazione nel 1993 della società Xanadu Australia), ma soprattutto Giappone. Nel 1994 venne accolto trionfalmente in Giappone, dove si recò per dirigere l’Hyperlab di Sapporo costruito per lui da Hitachi e Fujitsu. Nel 1996 iniziò ad insegnare come Project Professor di Environmental Information alla Keio University a Shonan Fujisawa (in quello stesso anno la Keio University entrava nell’organiz­zazione di gestione del web – W3C – come terza sede, accanto all’INRIA francese e al Laboratory of Computer Science del MIT).

I contatti con il mondo americano continuarono (e permangono tuttora) essenzialmente nella forma dei legami con la ACM, mentre appaiono molto più solidi quelli con il mondo europeo, anche per il credito che lì gli viene riconosciuto. Basti ricordare che nel marzo 2001 venne insignito in Francia, dal Ministro della cultura e della comunicazione, del titolo di Officier des Arts et Lettres; che è tuttora visiting professor all’Università di Southampton; che dal 2003 è visiting professor all’Università di Nottingham, ed ha tenuto la lezione inaugurale del convegno Hypertext 03 svoltosi a Nottingham nell’agosto del 2003. Il suo spirito, estremista e provocatore, non è mutato. Infatti la lezione tenuta in apertura di Hypertext 03 si conclude con questo pensiero: “Fifty years of computer tradition need to be unwound and undone to open the possibilities we have even ceased to suspect”.


2. Ipertesto e docuverso Xanadu

Nelson coniò il termine ipertesto come composto di iper- e testo.

Hypertext was an audacious choice: hyper- has a bad odor in some fields and can suggest agitation and pathology, as it does in medicine and psychology. But in other sciences hyper connotes extension and generality, as in the mathematical hyperspace, and this was the connotation I wanted to give the idea. [8]

Il prefisso iper- nelle geometrie non euclidee indica che un oggetto ha più dimensioni di quelle consuete per la quotidiana esperienza del mondo fisico: se un cubo nella quotidiana esperienza del mondo fisico ha 3 dimensioni, un ipercubo è un cubo che ha 4 o più dimensioni. Allo stesso modo un ipertesto è un testo che si estende su più dimensioni di un testo ordinario. Se la dimensione caratteristica di un testo ordinario su carta è quella della linearità di lettura, un ipertesto è tale perché si presta a molteplici letture (il tema dell’ipertesto come non-lineare o piuttosto multilineare, lungi dall’essere un arrovellamento di teorici del sistema, è essenziale per cogliere le caratteristiche profonde dell’oggetto).

Per ipertesto intendo semplicemente la scrittura non sequenziale. La composizione di una rivista, con brani sequenziali, figure inserite riquadri è quindi un ipertesto. E tale è la prima pagina di un quotidiano, e così vari libri gioco che si trovano in edicola o in libreria, in cui alla fine di ogni pagina ci sono scelte che portano ad altre pagine. [9]

I computer non sono intrinsecamente coinvolti nel concetto di ipertesto. Ma i computer saranno coinvolti, in ogni modo e in sistemi di ogni tipo, con l’ipertesto. (Idealmente, tu lettore sarai libero di scegliere, di volta in volta, con cosa proseguire la lettura - anche se stanno già comparendo forme repressive di ipertesto.) Molti considerano queste forme di scrittura come nuove, radicali e intimidatorie. Comunque, vorrei sostenere la posizione che l’ipertesto sia fondamentalmente cosa consueta e parte della nostra tradizione letteraria.

Diversamente sono andate le cose per docuverso, composto da documento e universo. Il termine non si è diffuso, forse anche perché come si vedrà è strettissimo il suo rapporto concettuale con Xanadu: Xanadu non è giunto alla realizzazione, e il termine docuverso non si è affermato.

Il concetto di docuverso (universo dei documenti) si fonda su due elementi:

da una parte la convinzione che nessun documento esistente è del tutto isolato, privo di legami con uno o più altri documenti esistenti. I legami possono essere di vari tipi: versione (un documento è versione più recente o più remota di un altro documento), citazione (un documento cita un passo di un altro documento), allusione (un documento allude ad un altro documento);

dall’altra l’attenzione al documento più che al testo. Un documento è un testo storicizzato, fisicizzato, individualizzato, portatore di una forza espressiva o di azione che gli derivano proprio dall’essere storicizzato e fisicizzato. Il testo è una sorta di categoria astratta che non può esistere se non incarnata in forma di documento. L’attenzione al testo in quanto documento si specifica in Nelson anche come attenzione al testo letterario, al testo frutto di attenzione e cura espressiva, non solo puramente funzionale o pragmatico, e in effetti il tema del documento connesso con altri all’interno del docuverso viene espressamente ricondotto al concetto di letteratura (basti pensare alla frase citata qui sopra: “vorrei sostenere la posizione che l’ipertesto sia fondamentalmente cosa consueta e parte della nostra tradizione letteraria”).

3. Xanadu in dettaglio

Project Xanadu, the original hypertext project, is often misunderstood as an attempt to create the World Wide Web.

It has always been much more ambitious, proposing an entire form of literature where links do not break as versions change; where documents may be closely compared side by side and closely annotated; where it is possible to see the origins of every quotation; and in which there is a valid copyright system-- a literary, legal and business arrangement-- for frictionless, non-negotiated quotation at any time and in any amount. The Web trivialized this original Xanadu model, vastly but incorrectly simplifying these problems to a world of fragile ever-breaking one-way links, with no recognition of change or copyright, and no support for multiple versions or principled re-use. Fonts and glitz, rather than content connective structure, prevail.
Serious electronic literature (for scholarship, detailed controversy and detailed collaboration) must support bidirectional and profuse links, which cannot be embedded; and must offer facilities for easily tracking re-use on a principled basis among versions and quotations
Xanalogical literary structure is a unique symmetrical connective system for text (and other separable media elements), with two complementary forms of connection that achieve these functions -- survivable deep linkage (content links) and recognizable, visible re-use (transclusion). […]
This system of literary structure offers uniquely integrated methods for version management, side-by-side comparison and visualizable re-use, which lead to a radically beneficial and principled copyright system (endorsed in principle by the ACM). Though dauntingly far from the standards which have presently caught on, this design is still valid and may yet find a place in the evolving Internet universe.[10]

Xanadu non è un tentativo di creare il web mondiale (world wide web): sia perché il web esiste già ad opera di Berners-Lee e del linguaggio HTML; sia perché il web come oggi lo vediamo, lo usiamo, lo attraversiamo, non ha nulla a che fare con ciò che Xanadu intende essere. Anzi, il web ha banalizzato l’originario modello di Xanadu in quanto “Fonts and glitz, rather than content connective structure, prevail.” [11]

Xanadu propone una vera e propria forma di letteratura: Nelson pensa la letteratura sia nel senso di raccolta organica di testi (come nella frase: “la letteratura esistente sull’argomento…”), sia nel senso ‘alto’ di insieme delle opere che vengono apprezzate per le loro qualità espressive, estetiche, contenutistiche. Il punto chiave di questa concezione di letteratura è che ogni testo è parallelo: per ogni testo esistono varie versioni, per ogni testo esistono testi simili che ne sono derivati, ogni testo ha testi di riferimento da cui cita o riprende. 

Per questo secondo Nelson è così importante costruire un sistema che colleghi fra di loro i testi; un sistema in cui

  • i collegamenti non si interrompano quando le versioni del documento mutano;

  • i documenti possano essere confrontati fianco a fianco;

  • sia possibile vedere l’origine di ogni citazione;

  • esista un valido sistema di copyright (nelle sue componenti letteraria, legale, economica);

  • sia possibile connettere in modo simmetrico testo e altri tipi di media [12];

  • sia possibile gestire differenti versioni di un documento e vederle fianco a fianco;

  • siano possibili collegamenti profondi [deep linkage, content links] che non si guastano, e ri-uso riconoscibile e visibile [transclusion] dei contenuti;

  • i collegamenti siano bidirezionali [13] e numerosi [profused];

  • sia possibile individuare una nuova versione di un documento o una sua citazione.

Per Nelson la maggior parte dei programmi (come la maggior parte della gente) tende ad essere ingenua a proposito dei documenti, e li tratta come se fossero indipendenti e isolati, quando invece la chiave di tutto è nel fatto che i testi sono paralleli. Il tema dei documenti collegati, dei documenti paralleli è talmente centrale che, scrive Nelson, “Side-by-side connected comparison of parallel documents on the computer screen has always been Xanadu’s fundamental visualization, first published in our 1965 paper” [14]. Fundamental visualization sia nel senso che essa è al centro del funzionamento del sistema (se Xanadu non fosse in grado di offrire questa visualizzazione mancherebbe uno scopo essenziale), sia nel senso che essa è sempre presente nelle presentazioni pubbliche del sistema.

La prima immagine di Xanadu (1972) è un mock-up (immagine artificiale costruita prima che Xanadu esistesse anche solo in forma di prototipo), [15] che mostra una singolare somiglianza con l’idea del memex di Bush.


La prima raffigurazione (mock-up) del sistema Xanadu (1972) [1] <http://www.cs.brown.edu/memex/ACM_HypertextTestbed/papers/60.htm>

Questa immagine apparve per la prima volta in Th. H. Nelson, As We Will Think in Proceedings of Online 72 Conference, Brunel University, Uxbridge, England, 1972. Con le altre immagini di Xanadu qui riportate comparve successivamente nell’articolo di Nelson per ACM Surveys, Xanalogical structure…, cit.


Il memex nella ricostruzione di Ian Adelman e Paul Kahn (Dynamic Diagrams)
Questa immagine non è più online;
era in un’animazione scaricabile dal sito dynamicdiagrams.com


Anche là c’erano due schermi, che servivano tra l’altro a rendere possibile l’indicizzazione associativa anche su base visiva [16]. Per Nelson il centro dell’attenzione è il testo, e il testo parallelo. Così i due schermi della prima simulazione presentano due schermate di testo parallele (o che sono visivamente suggerite come tali per i collegamenti che visibilmente collegano l’una all’altra).

In quest'altra immagine [17] appare, in un contesto visivo differente, lo stesso concetto dei testi collegati.


Videata della working demo di Xanadu del 1998 per Windows 95, con transpointing links
<http://www.cs.brown.edu/memex/ACM_HypertextTestbed/papers/60.html
>

Si tratta di una versione dimostrativa di transpointing windows in Xanadu, realizzata nel 1998 per il sistema operativo Windows95 da Ian Heath e Nelson stesso. Non vengono mostrati due testi paralleli, ma tre finestre di testo con linee diagonali che evidenziano visivamente i legami di ripresa testuale fra parti di tre blocchi di testo differenti (uno per finestra).


Finestra di Xanadu nella versione per Unix del 1999, con transpointing links
<http://www.cs.brown.edu/memex/ACM_HypertextTestbed/papers/60.html>

Nell’immagine che mostra le transpointing windows di Xanadu nella versione per il sistema operativo Unix realizzata nel 1999 da Ka-Ping Yee vengono mostrati due testi paralleli (due versioni della Dichiarazione d’indipendenza dei primi 13 stati americani) con una serie di transpointing links. Le sezioni in colore identificano segmenti di testo: medesimo colore significa corrispondenza di segmento testuale nelle due versioni; una linea diagonale che collega una sezione in colore del testo di sinistra con una sezione nel medesimo colore nel testo di destra evidenzia visivamente la corrispondenza già indicata dal colore e dalla somiglianza – o identità – dei segmenti di testo. La corrispondenza con l’immagine immaginata del mock-up è grande.

Nella descrizione di queste raffigurazioni del concetto di documenti paralleli ritornano le espressioni di Nelson, non traducibili in italiano, transpointing links e transpointing windows. Il tema complicato, che è forse la causa prima dell’arenarsi di Xanadu, è proprio quello espresso dal prefisso trans-. Un passo del documento B citato nel documento A non può essere trattato come inclusione, perché in tal caso perderebbe la sua identità di passo del documento B, non potrebbe rinviare, riportare al documento B di cui fa parte. Deve essere invece trattato come transclusione cioè come testo che pur trovandosi nel documento A non perde i suoi legami con il testo B [18]. Quindi un transpointing link è un collegamento (link) che indica una transclusione.

Da tutto ciò derivano alcune conseguenze:

1. che in presenza del passo si potrà andare dal documento A al documento B
2. che il documento B ‘saprà’ di essere citato nel documento A
3. che chi deve pagare dei diritti di copyright per l’accesso al documento A pagherà anche in proporzione una particella di diritti per l’accesso al passo del documento B.

Il punto 1 è ovvio: è quel che accade in qualsiasi ipertesto.

Il punto 2 avrà come effetto che i collegamenti non saranno più “one-way ever breaking links” come quelli del web (cfr. qui sopra il testo della home page di Nelson) in quanto esiste la possibilità di una ‘manutenzione del collegamento’, che non lo lascia cadere né permette che esso si guasti.

Il punto 3 è di capitale importanza. Se Nelson pensa non solo a documenti che contengono testi d’uso ma anche a documenti che contengono testi coperti da diritti (tipico caso quello delle opere letterarie) si pone il problema del pagamento, da parte chi legge un’opera, dei diritti ai proprietari del copyright. O, in termini più precisi in rapporto al pensiero di Nelson: del pagamento dei diritti in proporzione alla quantità di opera letta. Infatti , dal punto di vista dei diritti, non può essere la stessa cosa leggere 2 pagine di un’opera oppure leggerla tutta per esteso. Oggi il problema non si pone ancora con evidenza; ma è chiaro che deve porsi nella prospettiva di Nelson. Se non si ponesse, sarebbe come se esistesse una sorta di enorme libreria online dove chiunque può entrare, può leggere tutti i libri che desidera e poi andarsene soddisfatto; e chi ha costituito quella libreria, e gli autori, non ne trarrebbero giovamento. Un modello simile riportato alla realtà del mondo fisico vedrebbe le librerie trasformate in sale di lettura gratuite.

Pur senza dimenticare che esistono fondate posizioni a difesa della caduta del copyright nel mondo digitale (la convenienza economica per l’ ‘archivio’ - libreria o mediateca - non dovrebbe derivare dal pagamento dei clienti visitatori per la fruizione dei beni culturali – libri, musica, immagini… – ma dai servizi connessi: funzioni di ricerca sul bene, creazione di contatti con altre persone che si interessano allo stesso argomento, e simili) l’idea di Nelson è rigorosa ma anche difficile da attuare.

Il pagamento automatico dei diritti (automatico perché il micropagamento per il passo di B citato in A ‘scatta’ per il fatto stesso che il passo compare a schermo) implica che esista un sistema globale capace di gestire i pagamenti, e che gli aventi diritto sul testo B e sul testo A, nonché l’ipotetico generico lettore di B che deve pagare anche una particella di diritti agli aventi diritto su A, tutti siano ‘iscritti’ in qualche modo al sistema globale di pagamenti elettronici. Anche immaginando per il lettore una sorta di carta prepagata a scalare, almeno gli aventi diritto sui documenti A e B devono essere effettivamente collegati al sistema globale di pagamenti. Oppure il sistema globale di pagamenti deve essere in grado di svolgere una funzione di banca: raccogliere i pagamenti dei diritti sui documenti A e B e poi periodicamente versarli agli aventi diritto.

E’ chiaro che oltre al problema tecnico di far scattare in modo corretto e automatico i pagamenti (basato sul funzionamento della transclusione), esiste un enorme problema di standardizzazione del sistema dei pagamenti. Di fronte a tutto questo e ad altri problemi lo sviluppo di Xanadu si è arrestato. Se per ora o per sempre è difficile dire. Nelson ha comunque continuato la sua attività sviluppando in questi ultimi anni altro software (CosmicBook) [19] e definendo nuove strutture di dati (ZigZag) [20].


4. L’ipertesto per il lavoro individuale

L’interesse per l’ipertesto nasce per Nelson, come si è visto, dall’esperienza del 1960 sul programma di scrittura capace di tenere traccia delle varie scelte compositive dell’autore di un testo. Occorre ricordare che Nelson aveva un diploma in filosofia, stava studiando per laurearsi in scienze sociali, e uno dei suoi primi lavori fu un insegnamento di sociologia al Vassar College: in altre parole la formazione di Nelson era eminentemente umanistica e coerentemente con questa formazione egli pensava uno strumento fatto per chi scrive testi complessi, che prima della pubblicazione passano attraverso un lungo, e talora tedioso nei suoi aspetti pratici, lavoro di revisione. Ciò che doveva facilitare il lavoro e rendere facilmente fruibile il meccanismo di historical backtracking erano i collegamenti, dei quali così parla Nelson in riferimento a Xanadu:

[the system] allows you to see alternative versions on the same screen on parallel windows and mark side by side what the differences are. Not by scanning but by analysis of data structure. Now the system I started designing in the 1960s, allows you, would have allowed you, will allow you to see connections between the contents of different windows, like rubber bands between the middles of the windows. [21]

Nell’idea di Nelson, finestre parallele permettono di vedere fianco a fianco due versioni di un medesimo documento, con collegamenti che evidenziano visivamente (like rubber bands) i passi omologhi. Si tratta di uno strumento adatto prima di tutto alle modalità del lavoro dello studioso o dell’autore letterario (Nelson tratta questo argomento ricorrendo al termine literature che indica contemporaneamente la letteratura in senso proprio e l’insieme dei testi pubblicati su un dato argomento scientifico):

Serious electronic literature (for scholarship, detailed controversy and detailed collaboration) must support bidirectional and profuse links, which cannot be embedded; and must offer facilities for easily tracking re-use on a principled basis among versions and quotations.
[…] any piece of writing evolves to the very end of its creation. And the real issue is how can we hold partially organized materials for inter-comparison. [22]

Nella logica di Nelson l’ipertesto permette di creare strutture che rappresentano (che mappano) correttamente qualsiasi cosa, ed è particolarmente adatto quando ciò che si vuole rappresentare ha natura e contenuto non gerarchico:

To me hierarchy is a special case. I don’t say that hierarchies are always invalid, it’s just that because they’re so convenient they’ve been used too much. And they represent many things very badly... So hierarchy is fine where it correctly and appropriately matches up. And forcing it where it doesn’t is wrong. So the whole point is create the structures that map correctly whatever you do. And if you’re mapping thought or trying to present ideas, the likelihood that they are non-hierarchical is greater. [23]

L’ipertesto quindi è concepito come modalità di lavoro aperta, vicina a quel che accade nel mondo reale quando esso sia un mondo anch’esso aperto:

Non esiste l’Ultima Parola. Non può esistere la versione finale di qualcosa, l’ultimo pensiero. C’è sempre un nuovo punto di vista, una nuova idea, una reinterpretazione. E la letteratura, che noi proponiamo di trasporre su supporti elettronici, è un sistema per salvaguardare la continuità alla luce di questo fatto […] Ricordatevi l’analogia fra il testo e l’acqua. L’acqua scorre liberamente, il ghiaccio no. I documenti vivi che scorrono liberamente attraverso la rete sono continuamente soggetti a nuovi utilizzi e all’aggancio di nuovi collegamenti, e questi nuovi collegamenti sono sempre disponibili per l’interazione. Ogni copia separata dal sistema è invece fredda e morta, manca di qualsiasi accesso ai nuovi collegamenti. [24]

In Nelson dunque l’ipertesto non ‘tiene in ordine i concetti’, non è risorsa a cui ricorrere quando altri mezzi per tenere in ordine i pensieri non sono più all’altezza, come pensava Engelbart che aveva scritto:

Dapprima, finché non sono troppo numerosi, i concetti possono essere conservati sotto forma di lista ordinata su un supporto esterno che aiuti permettendone una disposizione spaziale schematica; ma oltre un certo livello di complessità di inter-relazioni non si può più fare affidamento sulla sola disposizione in schemi ordinati e si deve ricorrere ad associazioni e collegamenti più astratti. [25]

Ma sia Nelson sia Engelbart individuano come questione critica, a cui l’ipertesto dà risposta appropriata, quella della natura non gerarchica, reticolare, (apparentemente) disordinata, di molti insiemi di dati e conoscenze, quale che ne sia il livello di importanza.

Chieri, 28 settembre 2003


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[1] Scrive di sé Nelson nella pagina Who I am, consultabile online, URL <http://ted.hyperland.com/whoIam/>: Best known for: coining terms "hypertext" and "hypermedia," 1963 (first published 1965) [and] "docuverse" (1981).

[2] Il world wide web è stato inventato da Tim Berners-Lee; o meglio, Berners-Lee ha inventato il linguaggio di programmazione che ha permesso la creazione del web.

[3] Su queste notizie, che circolano in rete semplificate e talora un po’ di distorte, una fonte autorevole è H. Rheingold, Tools for Thought, Cambridge, MIT Press, 2000, p. 300.

[4] H. Rheingold, cit.

[5] T. Nelson, Complex information processing: a file structure for the complex, the changing and the indeterminate, in Proceedings of the 20th ACM National Conference 1965, pp. 84-100.

[6] Literary machines, trad. it. Literary machines 90.1, Padova, Muzzio, 1992 p. 1/29.

[7] Gary Wolf, The Curse of Xanadu, in “Wired”, 3.06, June 1995, URL <http://www.wired.com/wired/archive//3.06/xanadu.html?person=ted_nelson&topic_set=wiredpeople>

[8] Th. H. Nelson, Literary Machines, Mindful Press, Sausalito, 1992, p. 49.

[9] Th. H. Nelson, Literary Machines 90.1, trad. it Franco Muzzio, Padova, 1992, p. 1/17.

[10] T. Nelson, Xanalogical structure, needed now more than ever: parallel documents, deep links to content, deep versioning, and deep re-use, in “ACM Computing Surveys” (CSUR), 31/4, dicembre 1999, summary; ed. online, <http://www.cs.brown.edu/memex/ACM_HypertextTestbed/papers/60.html>. 

[11] Ad essere precisi, in realtà, il web delle origini nella forma in cui era uscito dalla mente di Berners-Lee, non prevedeva in alcun modo fonts and glitz, “caratteri e brillantini”, bensì proprio solo content connective structure, “struttura di connessione dei contenuti”. Prova ne è il fatto il linguaggio HTML, senza il quale il web non potrebbe esistere, nella versione 2 non prevedeva alcuna possibilità di scegliere molteplici stili di carattere (fonts, polizze) per le pagine web; né tanto meno la possibilità di includere nelle pagine web animazioni di vario tipo; e già nel 1998 Berners-Lee scriveva: “for all the fancy HTML we have nowadays, there is some immediacy we have lost” (<http://www.w3.org/DesignIssues/Editor.html>). Oggi, nella versione 4 del linguaggio HTML, fonts and glitz sono disponibili a tutti sulle pagine web.

[12] Si immagini una pagina di critica cinematografica in cui viene commentata una sequenza di un film: il testo e il brano del film, benché interconnessi – il testo rimanda al film, e il film rimanda al commento – sono distinti.

[13] Attualmente, nel web, costruire un collegamento dal punto A al punto B non implica che per ciò stesso esista (o venga creato) anche il collegamento di ritorno dal punto B al punto A.

[14] T. Nelson, Xanalogical structure cit., p. 3 della versione online.

[15] Questa immagine apparve per la prima volta in Th.H. Nelson, As We Will Think, in Proceedings of Online 72 Conference, Brunel University, Uxbridge (England), 1972. Con le altre immagini di Xanadu qui riportate comparve successivamente nell’articolo di Nelson per ACM Surveys, Xanalogical structure cit.

[16] Cfr. Bush: “Poiché l’utente ha a disposizione diversi visori, può lasciare un libro proiettato su uno di essi mentre ne richiama un altro […] quanto descritto è un primo passo verso l’indicizzazione associativa, l’idea fondamentale che una informazione può essere correlata a una qualunque altra. Questa è la caratteristica fondamentale del memex: il processo di connettere due elementi è la cosa importante."

[17] Le immagini riportate qui di seguito, relative a parti del sistema Xanadu non significano che esista o sia mai esistito un sistema software completo e funzionante. Esse derivano dalla costruzione di singoli componenti del sistema, effettuata per scopi di studio e approfondimento delle problematiche inerenti al sistema stesso, o per scopi di presentazione pubblica (una simulazione funzionante di una parte del sistema aiuta nella presentazione del sistema ad un pubblico non esperto).

[18] Di per sé si tratta di un meccanismo ben noto già esistente e funzionante in Word chiamato DDE (Dynamic Data Exchange): quando si inserisce un’immagine in un documento d con il comando Inserisci | Immagine | Da file, la finestra di dialogo che si apre permette di scegliere se l’immagine deve essere effettivamente inserita nel documento d (inclusione) o se si deve inserire nel documento d un collegamento all’immagine (collegamento; simile alla transclusione). Con il collegamento eventuali modifiche apportate all’immagine dopo l’inserimento nel documento d si rifletteranno nell’immagine inserita nel testo. Quel che di fatto non è gestito dal meccanismo DDE è la ‘consapevolezza’, da parte dell’immagine, dell’essere inserita in un documento, cosi ché il tentativo di cancellare il file che contiene l’immagine dia luogo ad un avviso che informi del guasto che si causerebbe al documento d.

[19] All'URL <http://www.xanadu.net/cosmicbook/>  se ne trova una presentazione. Gli ultimi sviluppi noti sono del dicembre 2001.

[20] All'URL <http://www.xanadu.com/zigzag/> se ne trova una descrizione. Gli ultimi sviluppi noti sono del dicembre 2001 (<http://www.ecs.soton.ac.uk/~lac/zigzag/>). 

[21] Citato in Th. Bardini, Bridging the Gulfs: From Hypertext to Cyberspace, in “The Journal of Computer Mediated Communication”, 3/2, September 1997; ed. online url <http://www.ascusc.org/jcmc/vol3/issue2/bardini.html>. 

[22] Th. H. Nelson, Xanalogical Structure cit.

[23] Th. H. Nelson in Th. Bardini, cit.

[24] Cit. da George P. Landow, L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, Milano, Bruno Mondadori, p.112.

[25] D. C. Engelbart, Special considerations of the individual as a user, generator, and retriever of information, in “American Documentation”, 12/2, 1961, pp. 121-125.


 

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izio Lana