Riviste di Italianistica: pacco-regalo da 37 riviste a 11.000 euro. Perché non vi abbonate?

Finalmente Claudio Giunta ha avuto il coraggio di dire senza reticenze quello che anch’io ormai vado constatando da tempo e a cui in parte ho accennato a metà dello scorso anno in un’occasione pubblica, richiamando peraltro l’attenzione su un precedente intervento dello stesso Giunta.

Si trattava di denunciare l’inaccettabile oligopolio (se non proprio monopolio) editoriale di fatto che grava sulle riviste di Italianistica - ma non solo -, passate per la maggioranza ormai sotto il marchio di un unico gruppo editoriale che ne fa lievitare sempre più i prezzi.

Nell’articolo “Quanto (ci) costa l’editoria accademica”, apparso sul numero di febbraio 2010 della “Rivista dei Libri” (anche in rete), Giunta espone senza mezzi termini nomi e cognomi (che io viceversa tacerò) e ci mostra, con un’analisi serrata e dati alla mano, l’incredibile impennata dei prezzi di abbonamento di alcune fra le più note e qualificate riviste del settore, passate quasi tutte sotto il controllo di quell’editore: un aumento progressivo e vertiginoso che, nel giro di dieci/quindici anni, è stato in certi casi di oltre il 1000%.

Così, ad esempio, “Studi novecenteschi”, pubblicato dall’Università di Padova, nel 1998 costava 160.000 lire, prezzo unico tanto per i privati quanto per le istituzioni, rimasto invariato fino al 2001 quando all’improvviso salì del 50% adeguandosi alla moneta unica europea: 103,20 per i privati e 123,95 per le istituzioni; adesso invece i privati sborsano 295 euro e le istituzioni ben 595. “Il costo è dunque di circa un euro a pagina. A questo prezzo pro pagina, una copia di “Alla ricerca del tempo perduto” costerebbe più o meno come una moto di media cilindrata”, commenta Giunta con amara ironia.

Insomma, i costi della cultura accademica sono diventati esorbitanti, specialmente quando si ripensa al fatto che le pubblicazioni universitarie sono finanziate da contributi statali. E paradossalmente sono finanziate due volte: la prima dall’Università che le pubblica, la seconda dalle biblioteche, in gran parte ancora una volta universitarie, che le acquistano. Gli editori quindi non rischiano mai, perché i costi di stampa sono coperti, ma ne ricavano sempre profitto e prestigio. Per non dire degli autori che contribuiscono alle riviste e di solito non intascano un centesimo, quando piuttosto non devono pagare per essere pubblicati.

Questo aumento esponenziale dei costi di abbonamento non è però generalizzato: come avvertivamo, riguarda soltanto un gruppo editoriale che, negli ultimi anni, si è accaparrato una quota non indifferente dei periodici di area umanistica. A confronto con le riviste di editori diversi e con quelle pubblicate all’estero, osserva Giunta, il rapporto di prezzo è addirittura di uno a dieci. Non parliamo poi della differenza riservata alle istituzioni straniere, che arrivano a pagare fino a 250 euro in più dell’Italia.

Ma non basta: la versione digitale consultabile in rete, che ovviamente non esisteva prima del 2000, non è meno cara del cartaceo, come ci si potrebbe aspettare. L’abbonamento alla versione “carta + online con password” di “Studi Veneziani” costa 1.990 euro; per chi preferisce l’opzione “carta + online tramite IP” il prezzo sale a 2.487 euro; e se “carta + online tramite IP + annate pregresse disponibili online”, il prezzo cresce a 3.314 euro. Anche in questo caso, il confronto con altri editori non giustifica gli aumenti e parla chiaro: si tratta solo di massimizzare i profitti, in un’evidente speculazione.

A questo punto, si attende che gli editori, chiamati in causa direttamente o indirettamente, dicano la loro. Ha iniziato a prendere la parola Franco Cesati, in una lettera a Lorenzo Tomasin sul “Corriere del Veneto” del 12 febbraio 2010. Cesati riconosce che la pubblicazione delle riviste è per certi editori, “abituati da anni a ricche contribuzioni istituzionali”, un vero e proprio business, un sistema come un altro per fare soldi, senza che ci sia dietro un autentico progetto editoriale. Si è aperta una crisi dell’editoria accademica che dipende in parte dalla richiesta degli autori di pubblicare tutto, subito e facile.

Il dibattito sembra dunque avviato. Bisogna augurarsi che non si alimenti però una discussione fine a se stessa, ma serva a riportare i prezzi delle riviste a livelli accettabili e, perché no, ad incentivare la creazione di pubblicazioni ad accesso aperto anche in area umanistica.

Professore associato di Letteratura italiana all’Università di Trento, Claudio Giunta aveva già pubblicato due anni fa, nel sito dell’Associazione degli Italianisti (www.italianisti.it), un intervento in cui proponeva “Una moratoria per le riviste accademiche“. Invitava autori ed editori a rinunciare alla pubblicazione di nuovi periodici universitari specialistici. Consigliava di preferire semmai l’edizione digitale online a quella cartacea e di arginare la sovrapproduzione di contenuti, pubblicando esclusivamente contributi originali e selezionati.


Questo articolo si può citare nel seguente modo:
Luigi M. Reale, Riviste di Italianistica: pacco-regalo da 37 riviste a 11.000 euro. Perché non vi abbonate?, in «Italianistica Online», 26 Febbraio 2010, http://www.italianisticaonline.it/2010/editoria-accademica/

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