Politica

Se si vuole parlare di politica, oggi, credo si debba partire da un indiscusso dato di fatto: lo scollamento tra il paese reale e il Palazzo. La politica sembra ormai concentrata solo a rappresentare se stessa: mai come in questi ultimi anni mi pare potersi prendersi alla lettera la nota metafora del “teatrino della politica” coniata dal Cavaliere in tempi assai meno sospetti degli attuali. Ma se la politica è sempre più uno spettacolo nel quale ognuno, più che farsi portatore di un’idea, recita il proprio personaggio per cavalcare la tigre mediatica, per riuscire a ottenere visibilità (tra un’escursione all’“isola dei politici” di Quelli che il calcio, un’ospitata a un talk show, una puntatina al Bagaglino), allora si può capire perché il cittadino comune, alla fine, possa decidere di cercare l’impegno altrove: perfino nel sacro tempio della canzonetta popolare, il Festival di Sanremo, premiando per le due diverse categorie di cantanti in gara (giovani e big) non uno dei soliti motivetti insulsi ma due canzoni impegnate: la prima, di Fabrizio Moro, contro la cultura della corruzione mafiosa e della violenza, la seconda, di Simone Cristicchi, a difesa dei deboli, soli ed emarginati che sono usciti di senno. Sanremo: un tempo evasione nell’amore, ora evasione nell’impegno. Se la politica si è fatta spettacolo perfino lo spettacolo per antonomasia, dove cuore fa ontologicamente rima con amore, può arrivare a farsi politica.

Ma c’è un altro aspetto nel quale la politica, sempre più in questi ultimi anni, appare essersi profondamente trasformata: l’azione sul territorio e la coscienza civica che dovrebbe rappresentarne la risposta. Se il cittadino sente la mano protettrice di chi lo governa sul quartiere in cui abita, sui mezzi pubblici sui quali si sposta, sulle strade cittadine per le quali cammina, sulle scuole frequentate dai suoi figli, perfino sulla lingua che usa ogni giorno (e che vorrebbe vedere migliore di quella maltrattata un po’ ovunque), la sua coscienza civica ne trae conforto e alimento. Ma il potere è sempre più uno strano biopotere: l’attenzione alle condizioni di vita degli esseri umani (in termini di salute, alimentazione, variazioni demografiche, rischi ambientali, ecc.) come una questione politica, intervenuta a trasformare l’esercizio del potere, secondo una classica teoria di Michel Foucalt, dal secolo dell’Illuminismo in poi, ha finito paradossalmente per allentare il controllo sulle aree più prossime al nostro quotidiano.

Mentre la biopiracy (la biopirateria, ripetutamente denunciata dalla fisica ed economista indiana Vandana Shiva) ci sottrae risorse naturali – animali, vegetali, ambientali, etc. – al solo fine di ricavarne vantaggi economici, qualcuno ci dice cosa dobbiamo mangiare per continuare a star bene, come dobbiamo curarci se siamo ammalati, quando dobbiamo evitare di spostarci in automobile per non incappare in interminabili code, perché dobbiamo tenere basso il livello di riscaldamento della nostra abitazione e limitare i consumi di energia elettrica. Quando usciamo di casa, però, incorriamo spesso in situazioni che ci spingono a domandarci dove si trovano in quel momento i nostri amministratori e i nostri governanti. Finiamo così per sentirci più sicuri e a nostro agio all’interno dei grandi centri commerciali, dotati di tutti i possibili confort, piuttosto che per le strade delle nostre città: usciamo di casa per trasferirci semplicemente in una abitazione più grande nella quale tornare a rinchiuderci. È un modo per tenere alta la guardia, eretti ognuno a difesa delle proprie roccaforti: un piccolo appartamento nel quale ci si lascia sempre dietro, una volta entrati, una porta blindata e chiusa a doppia o tripla mandata, un quartiere residenziale protetto da alti muri di cinta e sorvegliato dall’occhio vigile delle telecamere, una stratosferica villa difesa da una muta di cani feroci e da un esercito di vigilantes.

Se Sanremo si è scoperto quest’anno un po’ meno Sanremo è anche per questo. Il cittadino, che si sente abbandonato dalla politica, coltiva i suoi sogni impossibili non più nell’illusione della felicità personale, o dei grandi, travolgenti amori di tutta una vita, ma nell’illusione di una giustizia giusta, di una reale equità sociale, di una pace duratura e universale. Potrebbe però essere una deriva pericolosa. Convinti che nulla possa realmente evolvere in meglio in un mondo che non ci piace, ci si rifugia in un “domani è un altro giorno” che si è perfettamente consapevoli non arriverà mai: salvaguardiamo i nostri diritti alla speranza di essere smentiti ma il film che scorre sotto i nostri occhi, intanto, continua a tradire le nostre aspettative, a parlare una lingua che ci suona incomprensibile, ad aprire finestre su realtà che ci sgomentano.


Questo articolo si può citare nel seguente modo:
Massimo Arcangeli, Politica, in «Italianistica Online», 26 Maggio 2007, http://www.italianisticaonline.it/2007/politica/

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