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Oscenità

Posted By Massimo Arcangeli On 30/11/2007 @ 6:05 pm In Lingua italiana, Alfabeto (di) Italiano | Comments Disabled

Da più parti ormai, e con toni sempre più aspri, si lamenta la scarsa qualità della televisione pubblica di oggi.

Franca Ciampi ha parlato a suo tempo di tv “deficiente” in riferimento allo show di Giorgio Panariello abbinato alla Lotteria Italia, ma sono diversi anni che ci viene propinato assai di peggio degli show di Panariello. L’isola dei famosi, per esempio, l’ultimo dei sopravvissuti tra i reality show che da alcuni anni mamma Rai ci offre gentilmente in prima serata: dalla Talpa al Ristorante, da Ritorno al presente a Music farm.

Ricordo la puntata del Ristorante, andata in onda la sera prima della giornata di lutto proclamata in quasi tutta Europa per le vittime dello tsunami abbattutosi sulle popolazioni del Sud Est asiatico, in cui le due “contesse” Marina Lante Della Rovere e Patrizia De Blanck si lanciarono offese da taverna scatenando le proteste dei telespettatori; quella stessa Lante Della Rovere, ineffabile maestra di bon ton ed eleganza, protagonista di un celebre vaffanculo pronunciato all’indirizzo di Adriano Pappalardo nella prima edizione proprio dell’Isola dei famosi.

E poi Paolo Bonolis che, non fossero bastati gli inviti ai concorrenti di Affari tuoi a toccargli il deretano per essere aiutati dalla sorte, si lasciava andare a doppi sensi e a espressioni pecorecce; l’assegnazione della palma di artista più puzzone, all’interno di una rosa di cinque nomi (Brad Pitt, il vincitore, e poi Russell Crowe, Britney Spears, Michey Rourke e il cane Rex, naturalmente, ultimo arrivato), nella gossippara Starflash condotta da Jerry Calà e Elenoire Casalegno; la pisciatina nella “cassetta del viaggiatore” di Marina Graziani, contenente i suoi effetti personali, raccontata diffusamente in Ritorno al presente; le bestemmie di Francesco Baccini e Massimo Ceccherini a Music Farm e (ancora) all’Isola della Ventura. La quale, non paga di aver invitato Alessandro Cecchi Paone a “mettersi in quel posto” (salvo negare, con finto candore da educanda, di aver pensato proprio a quel luogo lì) la sua spocchia, si è esibita in un doppio “figlio di puttana” (applaudita dal pubblico addomesticato presente in studio) rivolto all’ex partner di una sua concorrente per un’intervista al vetriolo contro la naufraga rilasciata a un settimanale scandalistico.

Fin qui la tv pubblica. Su quella privata – La7 a parte – sarebbe meglio stendere un velo pietoso (soprattutto su quella rete regina del trash e del cattivo gusto che è Italia Uno): da Ciao Darwin del solito Bonolis (il nuovo è ancora peggiore del vecchio) all’incredibile Distraction di Teo Mammucari, che sembra ritagliato dal perfetto manuale dei riti sadomaso.

In Spagna il governo di Zapatero ha tentato di restituire alla televisione pubblica la sua dignità, anche se questo ha determinato un certo calo degli ascolti. Perché mai questa strada non si tenta anche da noi? Perché tra i punti di share e il bollino di qualità sono destinati ad avere la meglio sempre i primi? E a chi giova una guerra senza esclusione di colpi in nome dell’audience? Penso in particolare alla vicenda di Striscia la notizia e Affari tuoi, con un Antonio Ricci che per recuperare ascolti le ha provare davvero tutte contro il conduttore di allora, Bonolis, sempre lui; il quale, non pago della melodrammatica replica, dal salotto familiare di Domenica in, a chi lo aveva accusato di speculare sul dolore, concludeva così, pochi giorni dopo, un pistolotto di 40 minuti dal suo preserale: “Nella vita ci sono le cose reali e le cose supposte. Se da una parte mettiamo le cose reali, le supposte dove le mettiamo?”.

E non è che con la pubblicità trasmessa dal piccolo schermo le cose vadano meglio: qualcuno rammenterà lo spot Madza che ritraeva un automobilista ripreso nell’atto di scaccolarsi e fotografato con soddisfazione dal cellulare del conducente dell’auto vicina; o il claim delle patatine snack Amica Chips – testimonial un Rocco Siffredi un po’ in disarmo – che giocava in modo grossolano sul doppio senso: “a chi piace la patatina”.

Come se non bastasse ci si sono messe pure la giustizia e la politica. Se stiamo ad alcune recenti sentenze della magistratura la parolaccia sembra essere ormai usata come un intercalare o un elemento verbale che dà forza al pensiero; ne ha preso atto anche il Parlamento, che nel febbraio del 2004 ha incluso pezzo di merda, pronunciato dal leghista Stefano Sterani all’indirizzo del fuoriuscito Daniele Apolloni, “nell’insindacabile diritto di cronaca e denuncia riconosciuto al parlamentare”, ma anche la Corte di Cassazione, che ha annullato la multa comminata dal tribunale di Perugia a un giovane automobilista che aveva insultato un suo coetaneo uscendo da un parcheggio; nella motivazione della sentenza, rimbalzata sulle cronache dei giornali nel giugno del 2002, si legge che l’espressione ingiuriosa in questione (“non rompermi i coglioni”) è il sintomo di una “coscienza sociale” che non è più in condizione di resistere “al diffondersi di gratuite volgarità, fatte circolare anche attraverso il mezzo televisivo”.

Il giudice, chissà, pensava già alla Ventura. E per una conduttrice di cui si vede montare il delirio di madreterna onnipotenza, settimana dopo settimana, un presidente della Rai, Claudio Petruccioli, che all’indomani della “censura” imposta dal direttore Cappon alla partecipazione di Filippo Facci ad Anno Zero, dichiara irricevibili le accuse all’azienda di essere una “cloaca” (esagerate, certo, ma la vede L’isola dei famosi?) e annuncia una già intrapresa azione legale contro il corsivista del “Giornale”.

Sempre Petruccioli ha scritto che “il servizio pubblico non è obbligatorio; si può vivere anche senza”. Dovremmo prenderlo in parola, vista la pessima qualità di quello televisivo. Quanto sarebbe bella anche da noi quella tv che accompagna per quindici lunghi anni le giornate del recluso colpevole di uno splendido film del coreano Park Chan-wook (Old boy) e ha il “torto” di non avergli insegnato le parolacce; il protagonista se ne rende conto quando, una volta uscito dalla lunga prigionia, ha difficoltà a comprendere il frasario becero con cui lo apostrofano alcuni giovinastri. Chissà, avesse avuto il satellite e fosse riuscito a sintonizzarsi su Rai Due, non solo avrebbe fatto tesoro di tutto il bagaglio espressivo necessario ma li avrebbe fatti ammutolire con qualche colpaccio verbale appreso alla scuola della Ventura e dei suoi isolani famosi e non famosi.


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