Eufemese

Non bastavano il disabile e, più volte pronunciato da Jimmy Ghione in Striscia la notizia, il diversamente abile. Gli ultimi frutti dell’ipocrisia verbale, la faccia pulita di un pensiero peloso e omologante che pretenderebbe di definirsi democratico, sono i sordi preverbali e gli operatori dell’assistenza.

I primi nel dicembre del 2005, sostenuti dalla stessa presidente dell’Ente Nazionale Sodomuti (ENS) Ida Collu, hanno protestato e manifestato davanti a Montecitorio (dove si discuteva la legge, già approvata in Senato, che li definiva tali) perché volevano essere chiamati semplicemente sordomuti. Al soddisfatto annuncio del sottosegretario al Welfare Grazia Sestini (rimbalzato il 15 dicembre sulle pagine del “Corriere della Sera”) che proclamava, da quel momento in poi, la sostituzione del nuovo al vecchio termine in tutti i documenti e le leggi ufficiali, così replicava l’ENS (www.ens.it/news/2005/12_2005/comunicato_16.asp):

Premesso che la Legge 21/11/1988 n. 508 definisce i sordomuti “sordi prelinguali”, non è con nuove definizioni formali o terminologiche che attueremo l’integrazione e le pari opportunità. Al di là di tutto, le persone disabili preferiscono essere chiamate per quello che sono: sordi, ciechi, ecc., e non al negativo: “non udenti”, “non vedenti”. Questo perché è sul concetto di “persona” che si costruisce la propria identità, un’identità positiva e che nello specifico i sordi custodiscono con orgoglio. Il termine “sordo preverbale” si riferisce al “minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato”. Con tale termine però si pone l’accento esclusivamente sull’acquisizione della parola, forma espressiva del linguaggio peraltro molto complessa da acquisire per la persona sorda. Apprendere la lingua parlata e scritta (per un bambino udente un processo spontaneo e naturale) per un bambino sordo, è estremamente complesso e si verifica – con grande fatica – solo con determinati percorsi logopedici ed educativi. Al contrario, la definizione “sordo prelinguistico”, sempre sostenuta dall’Ente Nazionale Sordomuti, fa riferimento non ad una condizione negativa – le difficoltà di acquisire naturalmente la lingua vocale – ma all’intatta facoltà di linguaggio presente in tutti gli esseri umani. Fare riferimento solo alla lingua verbale, una delle tante modalità di comunicazione, tra l’altro, non tiene conto della Lingua dei Segni, lingua complessa e con una propria struttura sintattica, morfologica e grammaticale che viaggia sul canale integro della persona sorda, quello visivo-gestuale.Una lingua per cui l’ENS da anni lotta e chiede il riconoscimento ufficiale. Anni di ricerca e la realtà di una comunità, quella sorda, che non vuole pietà ed assistenza ma riconoscimento di diritti, eguaglianza ed accessibilità, non hanno ancora estirpato i mille pregiudizi che aleggiano intorno alla Lingua dei Segni. Riconosciuta dal Parlamento Europeo con le Risoluzioni del 17/06/1988 e del 18/11/1998, studiata nelle Università, utilizzata in contesti educativi, sociali, di vita quotidiana da migliaia di persone sorde ed udenti, la Lingua dei Segni trova ancora nell’ignoranza e nella paura dei formidabili nemici. L’ENS ha recepito la comunicazione della modifica del termine “sordo” in “sordo preverbale” dal Ministero del Welfare con grande stupore ed amarezza, poiché non si tratta affatto di una modifica “molto attesa dalle associazioni” (Quali? L’ENS no di certo!) ma il prevalere di posizioni ideologiche sulle reali esigenze e volontà della comunità dei sordi.

Di rincalzo, dal suo cliccatissimo sito (http://www.beppegrillo.it/2006/01/il_nonno_prever_1.html), causticamente Beppe Grillo:

Il preverbalismo è un significativo passo avanti, una nuova frontiera: i ciechi potranno essere chiamati pre-vedenti, i paralitici pre-motori, gli impotenti pre- (beh, qui fate un po’ voi…).

Gli operatori dell’assistenza sono usciti invece dal cilindro del Comitato di Bioetica, che ha ritenuto bene di dover proporre l’abolizione di una parola mortificante e offensiva come il perspicuo e del tutto innocuo badante.


Questo articolo si può citare nel seguente modo:
Massimo Arcangeli, Eufemese, in «Italianistica Online», 21 Marzo 2006, http://www.italianisticaonline.it/2006/eufemese/

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